Dopo il fallimento greco, la prospettiva negativa di affrontare nuovi “tracolli statali” non piace per niente alla Unione Europea.
Così, prima che la situazione irlandese divenga insostenibile con un conseguente “nuovo crollo statale” economico e finanziario, la UE offre agli irlandesi un “salvagente preventivo”, a condizione che, l’Irlanda programmi un rientro del debito pubblico attraverso un riassetto finanziario statale programmato.
Si tratta di sanare il deficit statale, ottimizzare l’efficenza e l’efficacia statale, eliminare gli sprechi e governare un rientro nel patto di stabilità sottoscritto da tutti i paesi europei.
La Gran Bretagna ha già avviato un programma quadriennale tutto lacrime e sangue che punta a ridurre drasticamente il debito pubblico, con conseguente perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro pubblici e riduzione delle spese e dei budget pubblici.
Le vivaci proteste degli studenti britannici che ieri hanno addirittura dato l’assalto ad un furgone della polizia a Londra, sono la reazione scomposta di chi si vede negare un futuro di crescita formativa universitaria a causa dell’aumento considerevole delle tasse universitarie.
In Italia, a Roma, nella medesima giornata un gruppo di studenti tenta l’assalto a palazzo Madama, sede di uno dei due rami del parlamento (il Senato) al grido di “se ci bloccano il futuro, noi blocchiamo la città”.
La riflessione che viene subito alla mente è che, nel caso britannico, l’avvio di una forte riduzione del debito pubblico attraverso i dolorosi tagli alle spese, comprese quelle universitarie, abbia innescato il dissenso degli studenti universitari, che si sono visti anche quadruplicare le tasse universitarie di iscrizione.
Un dissenso comprensibilissimo, pur se non condivisibile quando si manifesta nelle forme di “assalto alla polizia”.
Molto meno comprensibile è il dissenso degli studenti italiani, i quali godono di un sistema universitario il cui accesso è garantito praticamente per chiunquee, soprattutto, non hanno ancora affrontato la scure dei tagli veri e propri che dovrà abbattersi, prima o poi, su un sistema pubblico che costa troppo, produce poco, non seleziona, non produce qualità, non fa ricerca.
A cominciare dalla estesissima e capillare (e costosa) presenza sul territorio italiano di atenei e facoltà decentrate per finire alle tasse universitarie, sempre commisurate al reddito dichiarato (e non a quello effettivo) ed al costo della vita, che varia dal nord al sud.
Ecco i dati sul costo medio delle tasse di iscrizione universitarie in Italia, nella media divisa nelle tre macroregioni (nord, centro e sud) e nella media nazionale, pubblicati da Federconsumatori nel 2010:
Fascia I Fascia II Fascia III Fascia IV Oltre
Nord 531,31 576,66 979,98 1362,50 2304,34
Centro 453,53 523,91 769,09 1034,02 1715,94
Sud 424,15 505,46 875,41 1115,51 1220,09
nazionale 469,66 535,34 874,83 1170,67 1746,79
L’analisi del dato mostra che il costo delle tasse universitarie in Italia è comparato al costo della vita e sale dal sud al nord.
Si verifica quindi, che il costo per uno studente universitario che arrivi alla laurea è più alto per uno studente del nord, meno alto per uno studente del centro ed ancora più basso per uno studente del sud, il che, comparato anche al costo della vita più alto al nord che al sud o al centro, porta al risultato che laurearsi in Italia, non ha un costo eguale per tutti i laureati, pur offrendo una retribuzione invece a tariffa sindacale unica.
In questi termini, si considera che la variabile territoriale, pesa sul costo di una laurea in modo determinante, differenziando notevolemente la protesta degli studenti a seconda della collocazione geografica ed a seconda dei motivi che la muovono.
Va ricordato che, quantunque esista un differenziale congruo nel costo della vita come in quello della formazione universitaria in Italia, il meccanismo della contrattazione nazionale dei salari “appiattisce” i salari, che invece restano invariati e non seguono il principio della territorialità con i i suoi notevoli differenziali in termini di costi.
Pagare di più per una formazione universitaria nel nord, non corrisponde ad un differente salario, mentre, di contro, pagare di meno per una formazione universitaria nel sud, corrisponde ad un medesimo salario “nazionalizzato”.
Per non parlare del merito:
quello, in italia, non lo paga nessunu e non è nemmeno previsto un corrispettivo nei contratti collettivi nazionali, per cui, un laureato capra ed un laureato meritevole, incassano il medesimo stipendio a fine mese.
Le incogruenze territoriali verificate si riscontrano in ogni ambito della vita quotidiana:
nei trasporti, nel costo della casa, nel costo alimentare, e così via.
Ora, collochiamo questa variabile nord-sud nel caso in cui, anche il governo italiano dovesse ridurre il deficit pubblico in maniera drastica in un piano pluriennale.
Un taglio nazionale alle spese del sistema universitario italiano, comporterebbe un ulteriore innalzamento del costo delle tasse universitarie, con un disdicevole aumento della forbice di tali costi fra nord, centro e sud del paese.
Cosa accadrebbe allora?
Probabilmente vi sarebbe un innalzamento della soglia di accesso alla formazione universitaria, e conseguentemente una selezione all’accesso al mondo del lavoro che penalizzerebbe il nord nell’accesso ai redditi medio-alti, meglio pagati perchè più formati.
Posto che più formati, non equivale a più preparati, visto che le università più blasonate e meglio riconosciute all’estero, sono territorialmente allocate nel centro nord del paese e che la meritocrazia non viene applicata, regolamentata e nemmeno riconosciuta.
Il risultato complessivo vedrebbe un gran numero di lauerati del sud, con una formazione relativa, accedere preferenzialmente al mondo del lavoro proprio nel segmento meglio retribuito, mentre i laureati del nord, limitati di fatto all’accesso alla laurea, resterebbero ai margini dei redditi più alti prodotti nel mondo del lavoro subordinato, nonostante sia proprio il nord invece, a produrre la gran parte di quella ricchezza che “altri” metterebbero in tasca più facilmente e producendo conseguentemente una selezione all’accesso al mondo del lavoro fortemente penalizzante per i primi e ingiustamente permiante per i secondi.
L’analisi ora è completa, anche se limitata ad un solo segmento del mondo della formazione e dell’accesso lavoro.
La proiezione di questa analisi, nell’ottica di una prossima e sempre più inevitabile riduzione del debito pubblico attraverso un taglio degli investimenti e delle spese, impone una presa di coscienza responsabile e intelligente:
non si può ridurre drasticamente il debito pubblico in questa condizione senza creare squilibri dannosi per quelle popolazioni e per quei territori che denunciano un costo della vita più alto della media, poichè, senza una relazione direttamente proprozionale fra costo della vita territoriale e salari, i tagli statali produrrebbero situazioni di pericolosa iniquità sociale, economica e finanziaria.
Per impedire questi squilibri si realizzino, oltre alla applicazione del federalismo fiscale, occorre urgentemente produrre un relativo federalismo dei salari, in modo da sanare la corrispondenza fra costo della formazione per l’accesso al lavoro, costo della vita e salari.
Poichè potrebbero scendere in piazza nel futuro molti giovani del nord in protesta al grido di:
“se ci bloccano il futuro, noi blocchiamo il paese”.
Poichè l’accesso al mondo del lavoro è garantito e tutelato in termini di equità dai primi articoli della Costituzione Italiana, laddove nell’affermazione dei principi generali che regolano la vita comunitaria nello stato italiano, così si recita:
Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli e le sperequazioni socio-economiche.
E’ compito del governo, agire per la loro rimozione.
E’ compito della politica riflettere profondamente su quale futuro avranno i prossimi cittadini-lavoratori-contribuenti italiani, di quali equivalenze godranno nell’accesso al mondo del lavoro, di quale giustizia sociale vedranno affermare e di quali corrispondenze socio-economiche dovranno sopportare.
O non sopportare.
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X